ANTONELLA BUKOVAZ

STO 

Sono versi che riguardano l’apparente immobilità dello stare…
Stare fermi per togliersi da un ritmo innaturale, prodotto da un’idea di epoca freneticamente produttiva che nonostante gli sforzi non riesco a fare mia.
Stare fermi per stare più intensamente nel luogo e vederlo e non per assistere al suo passaggio – ascoltarlo, essere lui.
Stare fermi per intensificare.
Sto immobile come un bersaglio, la posizione migliore per farmi colpire. Roversi scrive: “se ti fermi e ascolti non sarai mai perduto”.
Tutto comincia da una fissità inquieta, una velocità statica dove non è possibile separare gli estremi tra ciò che sta immobile e ciò che costantemente si muove. Lo stare, come fosse un luogo in movimento che sei tu con tutto ciò che ti piace e che non ti piace, ciò che vuoi e ciò che non vuoi, ciò che fai e ciò che non fai, ciò che sai e ciò che non sai.
Ciò che mi interessa è provare quanto riesce la parola a tenere questa posizione, questo ritmo minimo e persistente e proprio di tutte le cose. Quando si osserva lo sguardo è fermo, quando si attende qualcosa di prezioso si sospende il respiro, quando abbiamo davanti qualcosa che ci affascina restiamo immobili e muti, senza parole. Niente ci può distogliere, disturbare.
Stare fermi acuisce i sensi. Stare è essere nel paesaggio.
Scrivendo Sto ho cercato il centro che si trova dopo tanto roteare, ruoti, ruoti, ruoti, ruoti, ruoti, ruoti e ruoti fino ad agganciare un punto fermo, un punto spalancato, un luogo dove stare, finalmente.
Fermarsi non è arrendersi ma rendersi disponibili a un’idea di tempo recuperato alla disgregazione dei tempi, innestarsi nel tronco principale per far correre il sangue e la vita.

"Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te."
Franz Kafka, Diari



Testi

Allora guardami
io sto
non è solo scrivere
faccio ciò che dico
sto
ti do la mia pelle
sono una donna giusta
nel mio stare
ho incollato il passato
leggo
il dolore sulle foglie
anche il tuo è autunno.

***

Anche quando pare che la trama trovi
il suo comporsi tra gli intrecci, i pieni
e i vuoti
e tutto sembra andare per il meglio
nel conforto ragionevole del velo, aldilà
della durata che nulla può uguagliare
per potenza e mutamento, con gli occhi
lanciati oltre il raggio delle braccia
nel perimetro dei volti allineati
nell’ascolto delle note
per come ce le aspettiamo
che illude la comprensione e impedisce
lo stupore
siamo – infatti – del tutto impreparati
all’incontro.

***

L’attesa durò tutta la notte e tutto
il giorno e tutte le notti e tutti i giorni
finché la notte divenne giorno e il giorno
notte e tutto si invertì
e ci fu un momento
in cui tutto sembrò difficile
da accettare ma poi anche il difficile
divenne facile e così via e via così…

***

Sto ferma ferma ferma per essere anche altrove.
E’ questa la mia idea di mitezza – tende
a mettere a fuoco per vedere
anche sott’acqua in un perenne battesimo
perché se stai fermo fermo fermo
sprofondi nel senso della terra e si fa acqua
il gesto – fusione del creato – potenza di passaggio
verso lo stato aeriforme
una volta dichiarato che possiamo volare
soltanto se disposti a smettere di camminare.

 ***

Nell’ora che rallenta
rilasciano – gli odori
e tutto l’impalpabile – una scia
di suoni inudibili
e nelle cavità si forma
per deposizione ritmica
la varietà musicale
stratificata e casuale
che solo la fissità dell’ascolto
fa aderire al corpo
Può succedere in un attimo
in un attimo impensabile
tra le falangi ferme e forti
mosse a dirigere un silenzio.

***

Una volta concepita la fermezza
non c’è vento o idea o luce
che possa scardinare
l’intimità con le venature del legno
della roccia della foglia delle ali
o il lento velluto delle tende
per tirare in qua e in là il futuro.
È tutto come fosse nostro e ci accade
di stare nel posto giusto al momento
giusto e di fare scorta di erba
per prati che non sono più
oppure di perdere tempo, piccolo o grande
nel fare di ogni giorno un luogo
separato dai giorni e dai luoghi intorno.
Come se potesse essere un bene
durevole il presagio dell’occhio e della mano
si insinua nella mente contemporanea
e l’abitudine non è mai delusa
l’abitudine abusa dell’appagamento
tra i beni minimi o minori che siano.
Tra i cuscini intanto cresce una muffa
che sa di profezia.


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