DESERTI TASCABILI

deserti  tascabili sono innanzi tutto dei luoghi fisici,  delle nicchie, sopravvivenze degli antichi ritiri, dove talora il deserto era letterale. Può essere un libro, l’abitacolo dell’auto…se il deserto è diventato una metafora, esso è rimasto un’esperienza di vita, concrete parentesi di personalità cui nessuno davvero rinuncia, neppure il più orizzontalizzato degli uomini.
Noi oggi abitiamo una condizione contraddittoria e paradossale nella quale è necessario esercitare un doppio sguardo che ci permetta di superare l’opposizione tra interno ed esterno senza cancellare né l’uno né l’altro ma senza neppure restare bloccati in nessuno dei due. Sbattiamo il naso contro un muro a causa del quale  il fuori appare invincibilmente contrapposto a un dentro talmente murato da risultare assente o comunque irripetibile.
Nietzche insiste sull'esigenza di esitare, far silenzio, introdurre nel discorso e nel linguaggio l’esercizio della pausa. Continuamente invita a quel processo di lento apprendimento che chiama “ruminazione” e che consiste in un tempo, anche luogo, di attesa, in un rallentamento.  E’ questo, con ogni evidenza, il suo deserto tascabile, la contromanovra che ci propone contro il troppo pieno e gli effetti tossici che esso produce.
Occorre assumere in esercizi quotidiani le buone abitudini di una sopravvivenza comune. Messa a punto di tecniche per abitare la distanza, esercizi di svuotamento per stare dentro le cose senza identificarsi con esse, per convivere con noi stessi senza aderire all'immagine bloccata che la società attuale  ci applica addosso.
Abbiamo tutti il bisogno di far funzionare nelle nostre vite, e nei discorsi attraverso i quali le viviamo come vite pubbliche, un qualche deserto tascabile, esercizi per guadagnare spazio soggettivo, una capacità di costruire pause nel tessuto fitto dei dispositivi che organizzano spazi e tempi del nostro vivere.

Il deserto tascabile è il risultato di un uso delle pause, del rallentamento, della sospensione, della capacità di frapporre distanze  e di abitarle. Non c’è una teoria della parentesi, ma una pratica della spaziatura che immette un effetto di pensosità ogni volta che si viene messi difronte a qualcosa che non ci si aspetta.

(tratto da: ESERCIZI PER CAMBIARE LA VITA – IN DIALOGO CON PETER SLOTERDIJK)

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